Val Grande ultimo paradiso
Compie 35 anni il libro di Teresio Valsesia (Alberti, Verbania, 1985). L’opera ebbe molta fortuna e più edizioni, ma soprattutto fu alla base (quasi un “libro bianco”) dell’istituzione del Parco Nazionale.
In oltre 200 pagine, quindici capitoli (solo l’ultimo dedicato all’escursionismo) raccontano la “wilderness di ritorno” della Val Grande e quel “ritorno” è la memoria della civiltà rurale montana (secondo la fortunata definizione di Nino Chiovini) che ha modellato sette secoli di storia delle montagne dell’entroterra verbanese.
Non entro nel merito dei contenuti, perché ormai molto conosciuti e soggetti a vari approfondimenti, ma segnalo il carattere pionieristico del lavoro, basato molto sulla memoria orale degli ultimi alpigiani.
Come per i Walser di Renzo Mortarotti, i montanari di Teresio Valsesia sono stati gli ultimi. Propongo le riflessioni iniziali del libro: “Qui si ritorna alle origini, all'inconscio desiderio di cose nuove e vergini. L'ebrezza e la voluttà dell'incognito. Godere istintivamente senza patemi e preoccupazioni la pienezza dello spirito e della montagna. Sentirsi elemento integrante di questa natura che si offre in umiltà e che si deve assaporare nel suo rispetto totale. Spossati nel folto dei boschi e in contemplazione sulle creste aeree e assolate, ma in una dimensione nuova, stimolante e seducente. Senza presunzione, perché basta il fruscio di una vipera a riportarci alla fragile condizione di uomini. Praticare la Val Grande unicamente come una ludica palestra per contemplazioni estetiche di grandi silenzi e di natura incorrotta, sarebbe troppo riduttivo. Bisogna invece scoprire anche le testimonianze dell'uomo, della civiltà contadina e montanara ormai trapassata. (Sarà possibile un ritorno almeno parziale all'alpicoltura?). Voltarsi indietro, dunque, ma non per sterile revival, nostalgico riflusso o asettico recupero. Bensì per rinnovare quei valori che, se correttamente pra¬ticati nella nostra incerta quotidianità, aiutano a costruire giorno per giorno la civiltà”.
L’occasione del compleanno, mi permette di ricordare l’amico editore Carlo Alberti (1924 – 2016) che in questo libro credette molto.