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Don Sisto Bighiani

Paolo Crosa Lenz

Il 30 ottobre 1979 moriva, in un incidente stradale sulla statale di Valle Anzasca, don Sisto Bighiani, parroco di Macugnaga. La sua figura è profondamente radicata nella memoria storica della gente della Valle Anzasca.

Nato a Ornavasso, paese walser come Macugnaga, nel 1920, studiò in Seminario a Novara e, giovane prete, compì la scelta coraggiosa della lotta partigiana divenendo cappellano militare prima della “Valtoce” e poi dell’”Osella” di Cino Moscatelli. In anni duri, quando la montagna grondava sangue per le rappresaglie dei nazifascisti, don Sisto diceva ai suoi partigiani: “In ginocchio per pregare, in piedi per lottare!”. Il 25 aprile 1945 fu a Milano, dove parlò alla folla nel giorno della Liberazione. Quello stesso anno venne assegnato alla parrocchia di Macugnaga, quasi che la solitudine di un piccolo paese fra alte montagne potesse calmare i bollenti spiriti di quel giovane prete “ribelle”.
Don Sisto arriva a Macugnaga in bicicletta e osserva la grande parete del Monte Rosa. Ne rimane affascinato. Diventa guida alpina e condivide con i suoi parrocchiani un mestiere da uomini delle montagne.
Gli anni ’50 sono anni cruciali per la montagna italiana. Il modello economico basato sull’industria erode rapidamente il tessuto contadino di una società agro-pastorale durata mille anni. I guadagni sicuri delle città prosciugano le valli alpine provocando un’emorragia di popolazione. Prima la radio e poi la televisione impongono stili di vita e scale di valori estranei alla tradizione alpina. L’unica alternativa all’abbandono è lo sviluppo turistico.

Don Sisto capisce tutto questo e intuisce anche altro. Da uomo capace di guardare lontano, come dalla vetta di una montagna, comprende come il turismo abbia bisogno di professionalità moderna e strutture collettive: costruisce la Baita dei Congressi e istituisce la prima Scuola Alberghiera in Italia. Progetti di lunga prospettiva che posero Macugnaga all’avanguardia tra le stazioni turistiche alpine. Dono Sisto capisce anche che non si può dormire sugli allori e bisogna imparare dagli altri. Pianta la tenda a Innsbruck (non aveva i soldi per l’albergo!) per studiare l’organizzazione delle Olimpiadi Invernali. Quel prete, tradizionalista e al tempo stesso aperto al nuovo, girava con la planda nera per capire il futuro degli sport sulla neve. Lo faceva per passione, ma soprattutto per il futuro della sua gente, affinché potesse continuare a vivere dignitosamente ai piedi del Monte Rosa.

Era un uomo di poche parole, come chi è cresciuto nei grandi spazi aperti delle Alpi, e di pochi compromessi, come chi ha idee salde e chiare. Uomo della concretezza e del rispetto per la parola data, tanto distante dal vociare assordante della politica di oggi.
La vita di don Sisto seguì due coordinate non in contrasto tra loro: l’essere prete e l’essere uomo di montagna. Pastore d’anime (“In ginocchio per pregare”) e pastore d’uomini (“In piedi per lottare”). Il suo impegno partigiano per un’Italia libera e migliore, proseguì infatti nel Dopoguerra per difendere la montagna dall’invasione devastante della società consumistica. Capì che la diversità della montagna doveva trovare una sua collocazione nello sviluppo economico italiano.
Una sua poesia, ritrovata tra le poche carte lasciate, recita: “... io mi sento un uomo in parete. / Tutta la vita chiodi e martello / ramponi piccozza / e zaino pesante, / e la corda, perché nessun uomo / può salire da solo.” La sua lezione di vita sia di insegnamento ai nostri giovani.

Alla Marinelli

1972 – Al rifugio Marinelli, riconoscibili da dx: Luciano Bettineschi (in alto), Carlo Iacchini, Costantino Pala, don Sisto Bighiani, Felice Iacchini, Achille Compagnoni ci sono inoltre altre persone non identificate.

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