Anna Bettineschi
I musei sulla civiltà contadina delle Alpi sono tanti e più o meno tutti uguali. Gli strumenti per lavorare la lana, quelli per fare il formaggio, quelli per raccogliere il fieno..… Nei hai visti quattro e li hai visti tutti. A fare la differenza sono le persone che li aprono e li chiudono, che raccontano cosa c’è dentro.
Il più delle volte non lo fanno perché sono pagati, lo fanno per orgoglio e per passione.
La Casa Museo Walser di Macugnaga (Alts Walserhüüs van zer Burfuggu) è bella e mi è molto cara. Per decenni ne è stata custode Anna Bettineschi che, nei primi anni ’80, accolse un giovane studioso e gli dedicò intere giornate descrivendogli con commozione ogni singolo oggetto.
Anna Nava non era di Macugnaga, veniva da Vigevano (nebbia d’inverno e zanzare d’estate), si era stabilita a Macugnaga per matrimonio con Luciano Bettineschi (il “gatto del Rosa”, una delle più grandi guide alpine della seconda metà del Novecento).
Era stata una brava alpinista: aveva scalato la Cresta Signal ed era socia del Club dei 4000, l’esclusivo club a cui sono ammessi solo coloro che hanno scalato la parete est del Monte Rosa. Si era con forza e fatica inserita nella comunità, facendone proprie le tradizioni ed il racconto della civiltà.
Diventammo amici e a lei portai giovani (le scuole della Val d’Ossola) e vecchi (gli “studenti” dell’Unitre). In giornate d’autunno, quando i visitatori se ne erano andati, parlavamo anche di noi (Anna aveva vent’anni più di me). Un giorno le chiesi cosa l’avesse spinta a venire a Macugnaga, in una comunità così chiusa e difficile. Alzò non una, ma due mani al cielo e guardò la grande montagna. Ci accomunava una cosa poco eroica e molto umana: entrambi eravamo “orbi come talpe”; lei con occhiali spessi come fondi di bottiglia ed io con lenti a contatto non sempre pulite.
Ma il Monte Rosa è talmente grande che lo vedevamo bene. Ci accomunava un’altra passione: il ciclismo; lei passava i pomeriggi incollata al televisore e non perdeva una corsa. Come altri, la “Anna di Macugnaga” (come era conosciuta con stima ed affetto tra i Walser dell’Ossola e non solo) contribuì alla fertilità di tanti studi. Mi dicono sia morta all’ospedale di Domodossola per crisi cardiaca. Gli ultimi tempi visse sola, ma la sua memoria appartiene a tutti.